Fonte: Altalex – Segnalato da Elisabetta Ribatti
Si intendono usurari gli interessi che superano il tasso soglia previsto dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con la sentenza n. 801 depositata il 19 gennaio 2016.
La regola vale tanto per ì mutui a tasso fisso, che per quelli a tasso variabile, sebbene per questi ultimi si configuri il rischio di una “usura legale” (tasso pattuito superiore al tasso soglia previsto dalla legge al momento del pagamento).
Il caso
Una banca veniva citata in giudizio per dichiararsi la nullità della pattuizione di interessi ultralegali eccedenti il tasso soglia di cui all’art. 2 legge 7 marzo 1996 n. 108. Il Tribunale e la Corte di Appello rigettavano le domande.
La decisione
L’art. 1 d.l. n. 394 del 2000 suona: “l. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano i1 limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. La norma d’interpretazione autentica è contenuta esclusivamente nel primo comma, che non distingue fra tassi fissi e tassi variabili. Il riferimento ai tassi fissi è contenuto soltanto nel secondo comma, che reca una norma del tutto diversa, di carattere dispositivo, non già interpretativo: “2. In considerazione dell’eccezionale caduta del tassi di interesse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999, avente carattere strutturale, il tasso degli interessi pattuito nei finanziamenti non agevolati, stipulati nella forma di mutui a tasso fisso rientranti nella categoria del mutui, individuata con il decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica previsto dall’articolo 2, coma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108, in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, è sostituito, salvo diversa pattuizione più favorevole per il debitore, dal tasso indicato al comma 3 [….]”.
Se il legislatore avesse inteso riferire anche la norma di cui al primo comma ai soli tassi fissi, lo avrebbe esplicitato così come ha fatto nel secondo comma. Che il problema del superamento del tasso soglia in corso di rapporto si sia posto, storicamente, per i tassi determinati convenzionalmente in misura fissa (la cui rigidità non permette di assorbire le conseguenze dell’eventuale calo dei tassi di riferimento utilizzati per la determinazione del tasso soglia ai sensi dell’art. 2 1. n. 108 del 1996), secondo la Suprema Corte, non toglie che in astratto esso possa porsi anche per i tassi determinati in misura variabile (come, del resto, era stato già implicitamente riconosciuto dal Supremo Collegio con sentenza n. 22204 del 2013).
La norma interpretativa in esame, che attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione usuraria dei tassi, al momento della loro pattuizione piuttosto che al momento del pagamento degli interessi, comporta l’inapplicabilità del meccanismo dei tassi soglia alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente all’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, ancorché riferite a rapporti perduranti anche dopo tale data, come riconosciuto dal Supremo Collegio in plurime occasioni (Cass. 22204/2013, 26499/2009, 6514/2007, 5004/2005, 4380/2003, 17813/2002, 13868/2002, 8742/2001).
Nè vale considerare che l’estensione della norma interpretativa in discussione ai tassi variabili «legittimerebbe una sorta di usura legale» (riconoscendosi in tal modo alle banche e agli altri soggetti finanziatori la facoltà di adottare paramentri di riferimento tali da spingere prevedibilmente, in futuro, oltre la soglia della usurarietà il tasso applicabile). Infatti, secondo la Corte, “l’argomento, per la sua vaghezza, ha scarso pregio sul piano ermeneutico e può avere qualche efficacia evocativa sul piano socioeconomico”.
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Sentenza 19 gennaio 2016, n. 801
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FORTE Fabrizio – Presidente –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
M.G. (C.F. (OMISSIS)) e S.A. (C.F. (OMISSIS)), rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del ricorso, dagli avv.ti Baldari Antonio, Loretta Russo e Aldo Bernardoni (C.F. BRNLDA63R16A944B) ed elett.te dom.ti presso lo studio dell’avv. Giuseppe Romano Amato in Roma, Via Guidubaldo del Monte n. 61;
– ricorrenti –
contro
BANCO DI SICILIA S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del responsabile del Department Legale avv. G.M., giusta procura conferita dall’amministratore delegato con atto del notaio Ugo Serio del 25 novembre 2008, rep. 71941, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Pavone Cocuzza Antonio ed elett.te dom.ta presso lo studio dell’avv. Marotta Nicola in Roma, Via Lima n. 48;
– controricorrente –
contro
SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA (C.F. (OMISSIS)), in persona dei commissari liquidatori dott. P. C. e avv. Vito Faggella, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Prof. Girolamo Bongiorno ed elett.te dom.ta presso lo studio dell’avv. Nicola Marotta in Roma, Via Lima n. 48;
– controricorrente –
e contro
UNICREDIT S.P.A. – intimata –
avverso la sentenza n. 1164/08 della Corte d’appello di Palermo depositata il 16 settembre 2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23 settembre 2015 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;
udito per i ricorrenti l’avv. Aldo BERNARDONI;
udito per la controricorrente Banco di Sicilia s.p.a. l’avv. S. PAVONE, per delega;
udito per la contro ricorrente SICILCASSA s.p.a. in l.c.a. l’avv. Girolamo BONGIORNO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Nel settembre 2000 i sig.ri M.G. e S.A. convennero davanti al Tribunale di Palermo la Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa e il Banco di Sicilia s.p.a., chiedendo dichiararsi, in relazione a un contratto di mutuo ipotecario stipulato con la prima, la nullità della pattuizione di interessi ultralegali eccedenti il tasso soglia di cui alla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2 e condannarsi le banche convenute – la seconda delle quali era subentrata nelle ragioni della prima in virtù di atto di cessione conseguente alla messa in liquidazione coatta amministrativa della stessa – alla restituzione delle somme indebitamente versate dagli attori, nonchè al risarcimento del danno per l’illegittima segnalazione della sofferenza alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia.
Le convenute resistettero.
Il giudizio, dichiarato interrotto a seguito dell’incorporazione del Banco di Sicilia da parte della Banca di Roma s.p.a., poi denominata Capitalia s.p.a., la quale aveva a sua volta ceduto il ramo d’azienda interessato ad una nuova società denominata “Banco di Sicilia Società per Azioni” (di seguito semplicemente Banco di Sicilia), venne riassunto nei confronti di quest’ultima, che si costituì, e di Capitalia s.p.a. (poi divenuta Unicredit s.p.a.), che rimase contumace.
Il Tribunale, con sentenza del 6 marzo 2006, dichiarò improcedibili le domande in quanto proposte nei confronti della Sicilcassa in l.c.a., dovendo ogni pretesa creditoria nei confronti di questa essere accertata nell’ambito della procedura concorsuale a cui era sottoposta, ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.), art. 83, commi 1 e 3, e rigettò le domande in quanto proposte nei confronti del Banco di Sicilia.
La Corte d’appello di Palermo, adita dai soccombenti, ha confermato la sentenza di primo grado, condividendone la motivazione di improcedibilità delle pretese rivolte contro la Sicilcassa ed osservando inoltre che:
– con riferimento all’applicazione dei tassi soglia individuati ai sensi della L. n. 108 del 1996 cit., il Banco di Sicilia era privo di legittimazione passiva, trattandosi nella specie di rapporto di mutuo sorto con la Sicilcassa, in cui il Banco era succeduto quale cessionario ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, comma 2, cit., e del quale rispondeva pertanto – ai sensi di detta disposizione e dello stesso atto di cessione – nei limiti delle sole passività risultanti dallo stato passivo, che non contemplava il credito degli appellanti;
– comunque detta pretesa era infondata ai sensi della norma d’interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, cit., introdotta dal D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1 conv., con modif., in L. 28 febbraio 2001, n. 24, ai sensi della quale si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla predetta legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento; con la conseguenza che i tassi soglia di cui alla richiamata L. n. 108 non potevano essere applicati al mutuo in esame, stipulato nel 1987 prima della sua entrata in vigore; e ciò benchè quello in questione fosse un mutuo a tasso variabile, applicandosi la norma interpretativa anche a tale categoria contrattuale, per la quale il carattere usurario potrebbe derivare dalla previsione di uno spread eccessivo (ipotesi peraltro da escludere nella specie, secondo la Corte d’appello, essendo stato previsto uno spread di un solo punto percentuale rispetto a parametri commisurati all’andamento del costo del denaro);
– la richiesta di accertamento della nullità degli addebiti per interessi derivante dalla asserita differenza tra tasso nominale e tasso effettivo era inammissibile, così come statuito dal Tribunale, attesa la genericità e apoditticità delle allegazioni degli appellanti come proposte nella relazione del loro consulente tecnico di parte dott.ssa G., in particolare delle ragioni per le quali si arriverebbe a un tasso effettivo del 21,72 % semestrale;
– correttamente il Tribunale aveva ritenuto tardiva la domanda di accertamento della nullità dell’applicazione di interessi anatocistici, in violazione dell’art. 1283 c.c., che era stata formulata dagli attori soltanto in sede di precisazione della conclusioni; nè poteva invocarsi il potere del giudice di rilevare la nullità anche d’ufficio, atteso che tale potere va coordinato con il principio della domanda, onde, allorchè sia la parte a chiedere la dichiarazione di nullità di un atto pregiudizievole, il giudice non può tener conto che delle ragioni di nullità tempestivamente allegate dalla parte medesima;
– in ogni caso la pretesa era infondata nel merito in quanto, trattandosi di mutuo fondiario disciplinato dal T.U. approvato con R.D. 16 luglio 1905, n. 646, l’anatocismo era consentito ai sensi dell’art. 38 T.U. cit., confermato dalle successive disposizioni di cui al D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, art. 14 e alla L. 6 giugno 1991, n. 175, art. 16;
– la domanda di risarcimento per indebita segnalazione della sofferenza alla Centrale rischi presso la Banca d’Italia, in quanto proposta nei confronti del Banco di Sicilia, era inammissibile a causa della tardi vita dell’integrazione delle originarie, generiche deduzioni degli attori: integrazione eseguita da questi ultimi allorchè era già scaduto il termine di trenta giorni per il deposito di memorie contenenti precisazioni o modificazioni delle domande eccezioni e conclusioni concesso dal Giudice Istruttore all’udienza del 29 ottobre 2001, essendo avvenuta, quanto all’indicazione del responsabile nel Banco di Sicilia, soltanto con la memoria di replica depositata il 27 dicembre 2001 e, quanto alla precisazione del danno nella riduzione del fido concesso dalla Banca Nazionale del Lavoro a una società interamente partecipata dagli attori e in una difficoltà con il ceto bancario, soltanto con la memoria depositata il 16 aprile 2002 unitamente a una nutrita produzione documentale ai sensi dell’art. 184 c.p.c.;
– in ogni caso, la domanda era anche infondata giacchè la banca non aveva preteso somme superiori a quelle effettivamente dovute, per quanto già osservato in precedenza, e la segnalazione è dovuta allorchè il debitore versi in stato di insolvenza, ossia in uno stato oggettivo di difficoltà economico-finanziaria, pur non ancora accertato giudizialmente.
I sig.ri M. e S. hanno proposto ricorso per cassazione con sette motivi di censura. La Sicilcassa in l.c.a. e il Banco di Sicilia hanno resistito con distinti controricorsi. Tutte le parti costituite hanno anche presentato memorie.
1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 4 del D.L. n. 394 del 2000, art. 1 conv.
in L. n. 24 del 2001, e dell’art. 1815 c.c. e art. 644 c.p., si ribadisce che la norma d’interpretazione autentica di cui al D.L. n. 394 del 2000, cit., è applicabile ai soli rapporti di mutuo a tasso fisso, non anche ai mutui a tasso variabile stipulati anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, come quello oggetto di causa.
Tanto scaturirebbe, secondo i ricorrenti, dalla lettura del D.L. cit., art. 1, comma 1 in coordinamento con il secondo comma, che espressamente si riferisce ai soli mutui a tasso fisso, nonchè dall’intenzione del legislatore quale risultante dalla relazione illustrativa del decreto legge, che a sua volta argomenta in particolare con riguardo ai mutui a tasso fisso.
1.1. – Il motivo è infondato.
Conviene riportare anzitutto il testo dei primi due commi del D.L. n. 394 del 2000, art. 1:
“1. Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.
2. In considerazione dell’eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999, avente carattere strutturale, il tasso degli interessi pattuito nei finanziamenti non agevolati, stipulati nella forma di mutui a tasso fisso rientranti nella categoria dei mutui, individuata con il D.M. Tesoro, del bilancio e della programmazione economica previsto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 2 in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, è sostituito, salvo diversa pattuizione più favorevole per il debitore, dal tasso indicato al comma 3. Il tasso di sostituzione è altresì ridotto all’8 per cento con riferimento ai mutui ovvero a quote di mutuo di importo originario non superiore a L. 150 milioni, o all’equivalente importo in valuta al cambio vigente al momento della stipulazione del contratto, accesi per l’acquisto o la costruzione di abitazioni, diverse da quelle rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per i quali spettano le detrazioni di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 911, ART. 13, comma 1, lett. b) e al comma 1-ter e successive modificazioni. La sostituzione di cui al presente comma non ha efficacia novativa, non comporta spese a carico del mutuatario e si applica alle rate che scadono successivamente al 2 gennaio 2001.”.
La norma d’interpretazione autentica è contenuta esclusivamente nel primo comma, che non distingue fra tassi fissi e tassi varibili. Il riferimento ai tassi fissi è contenuto soltanto nel comma 2, che reca una norma del tutto diversa, di carattere dispositivo, non già interpretativo. Se il legislatore avesse inteso riferire anche la norma di cui al comma 1 ai soli tassi fissi, lo avrebbe esplicitato così come ha fatto nel comma 2.
Nè è decisivo che nella relazione governativa di accompagnamento del decreto legge si faccia riferimento, illustrando la norma d’interpretazione autentica, ai mutui a tasso fisso. Quel riferimento, infatti, ha carattere meramente esemplificativo, giustificato dall’esigenza di motivare il dissenso dalla diversa interpretazione data, in proposito, della disciplina di cui alla L. n. 108 del 1996 da Cass. 14899/2000 – espressamente richiamata nella relazione – riferita appunto ai mutui a tasso fisso. Che il problema del superamento del tasso soglia in corso di rapporto si sia posto, storicamente, per i tassi determinati convenzionalmente in misura fissa (la cui rigidità non permette di assorbire le conseguenze dell’eventuale calo dei tassi di riferimento utilizzati per la determinazione del tasso soglia ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2), non toglie che in astratto esso possa porsi anche per i tassi determinati in misura variabile (come, del resto, è stato già implicitamente riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 22204 del 2013).
La norma interpretativa in esame, che attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione usuraria dei tassi, al momento della loro pattuizione piuttosto che al momento del pagamento degli interessi, comporta l’inapplicabilità del meccanismo dei tassi soglia alle pattuizioni di interessi stipulate – come nel caso che ci occupa – in data precedente all’entrata in vigore della L. n. 108, cit., ancorchè riferite a rapporti perduranti anche dopo tale data, come da questa Corte riconosciuto in plurime occasioni (cfr. Cass. 22204/2013, cit., 26499/2009, 6514/2007, 5004/2005, 4380/2003, 17813/2002, 13868/2002, 8742/2001; contra Cass. 603/20013 e 602/2013, coeve, che però non contengono riferimenti alla norma interpretativa in esame).
I ricorrenti deducono, inoltre, la incostituzionalità di una lettura della norma interpretativa inclusiva dei tassi d’interesse variabili, perchè sarebbe irragionevole che il legislatore si sia preoccupato di prevedere, nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1 tassi sostitutivi di favore per i mutuatari a tasso fisso, e non si sia invece preoccupato di eventuali mutuatari a tasso variabile per i quali il tasso sia divenuto usurario in epoca successiva alla stipula.
A tale rilievo è sufficiente rispondere che il legislatore, con l’intervento in favore dei mutuatari a tasso fisso, di cui al D.L. cit., art. 1, comma 2 ha inteso porre rimedio a una situazione eccezionale di particolare sperequazione storicamente verificatasi a danno di tale categoria di operatori economici e non anche dei mutuatari a tasso variabile, onde nessuna irragionevolezza è ipotizzabile.
I ricorrenti osservano, infine, che l’estensione della norma interpretativa in discussione ai tassi variabili legittimerebbe una sorta di usura legale, riconoscendosi in tal modo alle banche e agli altri soggetti finanziatori la facoltà di adottare, callidamente, paramentri di riferimento tali da spingere prevedibilmente, in futuro, oltre la soglia della usurarietà il tasso applicabile. Ma l’argomento, per la sua vaghezza, ha scarso pregio sul piano ermeneutico, senza considerare che il concetto di “usura legale”, se può avere qualche efficacia evocativa sul piano socioeconomico, e dunque de iure condendo, non ha alcun senso de iure condito, essendo appunto la legge a stabilire cosa sia e cosa non sia usura.
2. – Con il secondo motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione, si censura la valutazione di apoditticità e genericità della consulenza di parte che determinava nel 21,72% semestrale il tasso effettivo globale.
2.1. – Il motivo è inammissibile per difetto della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, previsto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c. (nella specie ancora applicabile, risalendo la pubblicazione della sentenza impugnata a data anteriore all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, che l’ha abrogato) e inteso come requisito formale del ricorso dalla giurisprudenza di questa Corte, per la quale la censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto, previsto per le censura ai sensi dell’art. 360, nn. 1, 2, 3 e 4) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (per tutte, Cass. Sez. Un. 20603/2007).
Tale “momento di sintesi” è nella specie del tutto mancante.
3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 1283 c.c., R.D. n. 646 del 1905, art. 38 e D.P.R. n. 7 del 1976, art. 14 nonchè vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello, nel rigettare la domanda di nullità dell’addebito di interessi anatocistici, abbia affermato la legittimità dell’applicazione di questi ultimi, secondo la disciplina speciale del credito fondiario, sulla base di un accertamento in fatto gravemente deficitario, non avendo considerato che il contratto di mutuo era stato risolto dalla banca con raccomandata del 6 ottobre 1997; dal che conseguiva l’applicazione del principio di diritto, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale alla banca mutuante è dovuto, a seguito della risoluzione, soltanto il pagamento delle rate di mutuo insolute e del capitale residuo alla data della risoluzione stessa, oltre agli interessi di mora, che non vanno dunque calcolati sulla quota interessi delle rate a scadere.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
La domanda riguardante l’anatocismo era stata formulata quale richiesta di accertamento della nullità ed inefficacia, in riferimento all’art. 1418 c.c., comma 1, degli addebiti per capitalizzazioni di interessi applicati nel rapporto di mutuo de quo agitur per violazione dell’art. 1283 c.c., e solo per l’effetto veniva formulata altresì la richiesta di accertare e dichiarare l’applicazione al rapporto in esame di capitalizzazioni di interessi corrispettivi e moratori in violazione dell’art. 1283 c.c. (così, testualmente, le conclusioni degli appellanti trascritte nella sentenza di appello).
Il divieto di anatocismo, perciò, era invocato quale causa di nullità della relativa clausola contrattuale ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, e a tale pretesa si è riferita, correttamente, la Corte d’appello. Nella giurisprudenza di legittimità richiamata dai ricorrenti (Cass. Sez. Un. 12639/2008, Cass. Sez. 1 20449/2005), invece, non viene affatto affermata la nullità delle clausole anatocistiche dei contratti di mutuo fondiario (come disciplinati dalla legislazione anteriore al T.U.B., e in particolare dal D.P.R. n. 7 del 1976, art. 14 che prevede il calcolo degli interessi di mora anche sulla quota interessi delle rate scadute, così ammettendo una forma di anatocismo), ma viene semplicemente chiarito che, una volta che la banca abbia esercitato il potere di risolvere unilateralmente il rapporto avvalendosi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 15 D.P.R. cit., sul capitale residuo alla data della risoluzione – che il mutuatario deve rimborsare immediatamente per effetto della stessa – non vanno calcolati interessi composti, essendo venuta meno per l’avvenire, per effetto appunto della risoluzione, la rateizzazione a base della previsione anatocistica di cui all’art. 14.
La questione cui si riferisce la giurisprudenza invocata dai ricorrenti, dunque, è questione diversa da quella dai medesimi proposta nel giudizio di merito, che non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità.
4. – Con il quarto motivo, denunciando violazione degli artt. 1418 e 1421 c.c. e artt. 99 e 112 c.p.c., si censura l’ulteriore ratio della decisione negativa sulla domanda di nullità dell’applicazione di interessi anatocistici, consistente nella conferma della tardività della deduzione in giudizio di tale domanda, sull’assunto che le questioni di nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, sono rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo.
4.1. – Il motivo è assorbito dalla declaratoria di inammissibilità del motivo precedente, attinente, come si è visto, alla ulteriore, autonoma ratio decidendi concernente la medesima domanda e consistente nella infondatezza della stessa.
5 – Con il quinto motivo, denunciando violazione degli artt. 1321, 1325 e 1346 c.c., si deduce che il tasso d’interesse del mutuo era privo dei requisiti di determinabilità di cui all’art. 1346 c.c., essendovi discrepanza tra il tasso indicato in contratto e quello effettivo, risultante dallo sviluppo del piano di ammortamento secondo i calcoli del consulente tecnico di parte dott.ssa G..
5.1. – Anche tale censura è inammissibile, perchè presuppone che il tasso effettivo corrispondesse a quello calcolato dal consulente di parte; i cui calcoli, però, sono stati disattesi dai giudici di merito, a causa della loro genericità e apoditticità, con statuizione che non è stata censurata adeguatamente – come si è visto – con il secondo motivo di ricorso.
6. – Con il sesto motivo, denunciando violazione dell’art. 1218 c.c. e vizio di motivazione, si censura il mancato accoglimento della domanda di risarcimento per l’indebita segnalazione della sofferenza alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. Vengono contestate entrambe le rationes decidendi – di inammissibilità e di infondatezza della domanda – su cui si basa la sentenza impugnata.
6.1. – Il motivo è inammissibile perchè è inammissibile la censura della ratio decidendi consistente nella infondatezza della domanda (il che assorbe, com’è noto, ogni ulteriore questione anche con riferimento all’altra, autonoma ratio decidendi).
Infatti il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., che conclude l’illustrazione del motivo in esame, è formulato nei seguenti termini: Se la segnalazione da un intermediario bancario autorizzato alla Centrale dei Rischi di Banca d’Italia di un rischio c.d. a sofferenza relativo ad una esposizione debitoria insussistente ovvero riveniente da titolo nullo ovvero illecito, ovvero in misura superiore a quella effettivamente sussistente, ovvero nella inesistenza di una situazione sostanzialmente equiparabile alla insolvenza in capo al soggetto segnalato, costituisca fatto illecito contrattuale fonte di danno risarcibile ai sensi dell’art. 1218 c.c..
In esso si danno dunque per scontati presupposti invece smentiti dagli accertamenti dei giudici di merito, invano censurati con i precedenti motivi di ricorso, ovvero accertamenti di fatto da contrastare, semmai, mediante la acconcia formulazione di una idonea censura di vizio di motivazione: censura però non contenuta nel motivo in esame, difettando tra l’altro il “momento di sintesi” di cui si è avuto occasione di parlare in precedenza.
7. – Con il settimo motivo, denunciando violazione D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 90, comma 2, e vizio di motivazione, si contesta che tale norma precluda anche la domanda di accertamento della nullità.
7.1. – Il motivo è assorbito dall’esito negativo dello scrutinio riguardante i precedenti motivi, da cui deriva l’esclusione nel merito delle dedotte nullità contrattuali.
8. – Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna dei soccombenti alle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese processuali, liquidate in Euro 6.700,00, di cui Euro 6.500,00 per compensi di avvocato, oltre spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2016